(introduzione all’assemblea “All’armi son fascisti. Torino deve reagire”, Torino 6 marzo 2023)
di Gastone Cottino
Il nostro appello nasce da un atto di ribellione, di rabbia; di rabbia contro lo sfregio continuo alla memoria, alla cancellazione della nostra storia, delle nostre radici, della nostra stessa identità di italiani che hanno conquistato con la lotta di liberazione la loro libertà e la Costituzione repubblicana.
Nasce anche, ovviamente, come atto di ribellione contro il progressivo estendersi a macchia d’olio giorno dopo giorno di un regime chiaramente – lo ha già detto Livio e lo sappiamo tutti – di marca fascista. Un regime che ovviamente non è lo stesso dell’infausto ventennio ma riproduce nella sostanza quegli stessi aspetti di barbara intolleranza, di repressione sociale e di progressiva appropriazione da parte di forze reazionarie di ogni articolazione della nostra vita sociale e politica.
È un atto di ribellione contro questo mosaico che si sta componendo pezzo per pezzo con elementi a volte dichiaratamente politici, a volte subdolamente occultati e molto spesso brutalmente esplicitati. L’elenco sarebbe lungo: dall’assalto squadrista alla CGIL a Roma alle gelide parole di stampo nazista di un ministro nei confronti del dramma che si è consumato in questi giorni nei nostri mari (che segue a infiniti altri drammi) fino alle parole sprezzanti e offensive del ministro dell’istruzione (che – lo dico con vergogna – è purtroppo professore universitario) il quale non soltanto si è assunto il compito di disfare quel tanto di vivo, di critico, di libero che nella nostra scuola si era conservato, ma si è spinto sino all’attacco frontale a una preside colpevole di avere affermato principi democratici della nostra Costituzione. A fronte di ciò l’elemento di maggior preoccupazione è l’indifferenza, l’apatia, l’accettazione che si sono progressivamente estese come un velo funesto sul nostro paese e che si sono tradotte in consenso elettorale: un consenso che a una persona come me, con gli anni che mi porto addosso, evoca molto da vicino tempi che ho vissuto ancora ragazzo ma con occhi già per vedere e cervello già per giudicare.
Il nostro atto di ribellione si traduce anche, come ha detto Livio, in insoddisfazione verso ciò che si sta cercando di fare per arginare questo fenomeno. È infatti certamente e indiscutibilmente importante ed essenziale che ogni qualvolta si verifica un episodio particolarmente violento, manifestamente lesivo dei principi costituzionali si reagisca con cortei, con grandi manifestazioni pubbliche. Ma non basta.
Ecco, questo è il punto di partenza del discorso di stasera. Non basta. Noi siamo convinti che non basti agire in difensiva ma che occorra passare al contrattacco. Questo è il punto fondamentale che vuole esprimere il nostro appello: non agire e protestare dopo che gli eventi si sono verificati, ma iniziare un’opera di recupero della nostra storia, di inversione, pur molto difficile, del corso della storia. Un’opera che si dovrebbe tradurre in un’iniziativa concreta. Le idee devono venire da questa assemblea, ma è facile immaginare che si dia avvio a una forma di coordinamento tra chi ci sta, naturalmente facendo leva soprattutto su quelle associazioni come l’ANPI, di cui io ho l’orgoglio di essere socio, che sono vigili e attente di fronte a ogni violazione della nostra Costituzione. Ma queste forze vogliamo associarle in uno sforzo permanente che si traduca poi in un comitato che organizzi strategie e interventi capaci di penetrare nelle coscienze, soprattutto dei giovani, e di svegliarle. Il tentativo deve essere quello di ricomporre un quadro che si opponga senza se e senza ma alla nera nube che sta avvolgendo il nostro paese e che sappia superare la disarticolazione della protesta: la disarticolazione, infatti, fa molto comodo al potere che, quando la protesta si esaurisce, continua a fare alla sua nefasta opera di devastazione dei principi di democrazia, di uguaglianza e di libertà.
Ci sono – lo sappiamo benissimo – tra i giovani le donne, gli LGBT, i lavoratori, i precari molti movimenti che si sono messi in atto in questi anni ma, secondo il nostro modesto parere, non sono abbastanza consapevoli che le lotte non possono essere solo di settore e devono ricomporsi in un disegno unitario come è unitario, all’opposto, il disegno di fascistizzazione nel nostro paese. Il nostro – voglio aggiungere – non deve essere un antifascismo di facciata. Siamo ben consapevoli che il fascismo non è soltanto negazione di libertà ma è anche creazione di quel blocco storico-economico dei padroni dell’economia, dei padroni della finanza, dei padroni della politica che sono sempre stati espressione dell’egemonia capitalistica e che sono sopravvissuti, malgrado tutte le previsioni contrarie, alla pandemia, molto più vaccinati di quanto fossimo noi nei confronti del virus. Sul piano del lavoro, della salute, del fisco, c’è un ricco caleidoscopio che fa parte di questo blocco, che racchiude in sé gli ingredienti di quello che Gramsci chiamava regime reazionario di massa.
Per questo stasera non ci interessa tanto sentire il giudizio su cosa abbiamo proposto ma avere delle sollecitazioni su cosa fare accettando il nostro appello. Se l’idea condivisa è quella di aprire la strada a una iniziativa permanente, noi siamo pronti. Non possiamo uscire da questa serata in modo inconcludente. Queste cose non si rinviano, si decidono e si fanno. È una sfida difficile ma cari amici e compagni di queste sfide ne abbiamo già affrontate tante, e se nel 1943 non avessimo affrontato una sfida che sembrava impari, senza sapere prima come sarebbe andata, l’Italia sarebbe rimasta ben diversa, e non avremmo aperto le porte a un mondo diverso nel nostro paese.
Abbiamo dei punti di riferimento ben precisi che si devono aiutare: penso a Piero Gobetti, che da solo sfidò il fascismo e pagò con la vita la sua sfida, ad Antonio Gramsci, lentamente ucciso e soffocato nella sua intransigente durissima opposizione al fascismo. E abbiamo un esempio che a me è molto caro ricordare, che è quello di un amico e di un grande partigiano, un grande comandante partigiano: mi riferisco a Nuto Revelli, col suo insegnamento di intransigenza, ma soprattutto con una indicazione ben precisa, un imperativo categorico che ci chiedeva di osservare: mai arrendersi. Per mai arrendersi bisogna combattere: non soltanto difendersi ma fare dei passi avanti senza aver paura di affrontarne le incognite.
È la trascrizione dell’introduzione di Gastone Cottino all’assemblea antifascista del 6 marzo 2023 a Torino.
L’intervento di Gastone Cottino è a 4’ 40”. Questo il link all’inizio del suo intervento


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