di Livio Pepino
È passato un anno o poco più dalla costituzione del Coordinamento, un anno in cui abbiamo avuto anche la perdita di Gastone Cottino, che più di ogni altro lo aveva voluto e di cui abbiamo voluto pubblicare, come stimolo per tutti noi e per i più giovani, le ultime riflessioni raccolte nel libro dal significativo titolo All’armi sono fascisti! Che è qui in vendita e a cui faccio subito riferimento.
All’armi sono fascisti! È proprio il caso di dirlo guardandoci intorno, guardando a cosa accade nella politica, nel dibattito pubblico, nel mondo dell’informazione (a cominciare dalla televisione pubblica), nella scuola, nelle piazze (con l’intensificarsi della repressione) e via seguitando. Quella a cui stiamo assistendo è una vera e propria fascistizzazione delle istituzioni, attraverso la loro occupazione in ogni interstizio. Si tratta di una occupazione non nuova, allo stesso modo della repressione. Entrambe affondano in un terreno fertile, preparato già negli ultimi decenni da una politica improvvida e legata a una concezione proprietaria dello Stato, ma non c’è dubbio che in quest’ultimo anno c’è stato un salto di qualità che si accompagna a fenomeni come l’aumento a dismisura del diritto penale come strumento di governo della società, a una rinnovata saldatura tra la destra al governo e i settori più reazionari della polizia e delle forze armate, a una irresponsabile crescita della cultura della guerra (non sufficientemente contrastata e talora addirittura condivisa dalle forze di opposizione e non solo da quelle che stanno rapidamente saltando sul carro dei vincitori).
Diceva Gastone un anno fa con parole in qualche misura profetiche:
C’è chi, anche a sinistra e in particolare nel Partito democratico, dice che è sbagliato gridare “al lupo, al lupo!”, che gli antifascisti irriducibili sono arroccati su vecchi pregiudizi, che Giorgia Meloni non può essere ricollegata al fascismo perché nel ventennio non era ancora nata e che, comunque, ha fatto significative autocritiche e si sta dimostrando capace e responsabile. Non è così.
Siamo, dunque, di nuovo in un regime? E in che senso si può parlare di fascismo? Più che di un regime in atto si deve parlare dell’incombenza del fascismo. Cioè siamo in un cammino, in una deriva sapientemente amministrata. In una rete che si sta tacitamente estendendo, che parte dai simboli, dalle date e arriva allo spoil system e all’inserimento di uomini fidati in posizioni nevralgiche nella scuola, nella magistratura e via seguitando. È una rete che si sta costruendo pezzo per pezzo e a cui – questo è il fatto che più mi colpisce – gli italiani sono totalmente insensibili, non si rendono conto di quel che li aspetta.
C’è chi dice che non si possono fare paragoni tra il fascismo di ieri e quello di oggi perché sono fenomeni tra loro molto diversi. È il solito falso problema e posso ben dirlo io che il fascismo del ventennio l’ho vissuto. Certo i due fascismi non si presentano allo stesso modo […]. Ma ciò accade anche perché è diverso il contesto. Oggi il sistema dei mass media, controllato dal potere economico, è quanto di più insidioso ci sia e spesso sostituisce la propaganda del ventennio, quando, ricordiamolo, non c’era la televisione con la sua enorme capacità di influenza. Sappiamo benissimo quanto l’informazione è stata ed è tradita dai giornalisti embedded con notizie manipolate (o addirittura false) ma anche con silenzi e omissioni. […]
Ma torniamo alle identità e alle differenze tra il regime fascista e la situazione odierna. È chiaro che non ci sono sovrapposizioni automatiche. Ci sono, però, evidenti equipollenze. E, poi, anche il fascismo storicamente esistito tra gli anni venti e quaranta del secolo scorso non è mai stato uguale a se stesso. Non in Italia, non in Europa e non nel mondo. In Italia la violenza squadrista delle origini, l’assassinio politico, l’olio di ricino si sono alternati con un’azione di governo apparentemente in doppiopetto. […] Insomma, [c’è stato] un caleidoscopio di manifestazioni che hanno, peraltro, una identità comune: l’instaurazione, in modo variamente autoritario, di quello che Gramsci chiamava un regime reazionario di massa. Ebbene questo riferimento è lo stesso della destra oggi al governo. Lo si vede nei personaggi, in quel che dicono, nella volontà di cambiare radicalmente la Costituzione, nel clima che si sta instaurando. Un clima in cui tu non sei obbligato a tacere, ma taci perché non hai più conoscenza, non capisci più le cose, non le afferri, non hai più il senso della storia. E allo stesso tempo sei indottrinato. Poi, certo, ci sono differenze. Ma insistere sul fatto che il fascismo di oggi non è quello di ieri è un modo capzioso per distrarci. Aggiungo: il fascismo di oggi non è ancora il fascismo di ieri, ma se non è adeguatamente contrastato non è affatto sicuro che non sia quella la prossima tappa.
Che fare, dunque? Ancora Cottino:
Ci vuole l’impegno. Un impegno continuativo che si deve necessariamente nutrire di gesti, esemplari e chiaramente leggibili, capaci di smuovere le persone. Anche da parte nostra e delle associazioni che si richiamano alla Resistenza. Prendiamo la ricorrenza del 25 aprile. Una ricorrenza fondamentale che non possiamo limitarci a celebrare. Che non deve eludere i problemi e che, al contrario, deve innescare reazioni, provocare contagi. Per questo bisogna limitare il campo e decidere con chi celebrare il 25 aprile. Non dobbiamo, non possiamo essere concilianti come sono, purtroppo i vertici della Repubblica, che sembrano inseguire una impossibile neutralità. Chi è stato per tutta la vita insieme a chi fucilava i partigiani o ha tessuto l’elogio del fascismo e della Repubblica di Salò non può pretendere di partecipare alle celebrazioni e di portare corone ai monumenti ai caduti che, anzi, in quel modo oltraggia. […]
[Ma] non basta guardare al passato. Bisogna guardare anche al presente. Un antifascismo vero deve estendere il suo impegno a realizzare una società opposta a quella che il nuovo fascismo – in continuità con il vecchio – ci propone: una società in cui si persegua la partecipazione e non il culto del capo, in cui si metta al centro il pubblico e non gli interessi privati, che concentri i suoi sforzi sulla salute e sull’istruzione, che persegua l’uguaglianza e condizioni di vita accettabili per tutti e tutte «senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali» (come vuole l’articolo 3 della Costituzione). Una società aperta e solidale capace di accogliere e di respingere le politiche contro i migranti, che sono la frontiera razziale del nuovo millennio.
Quello che Gastone Cottino preconizzava e suggeriva riguarda il livello internazionale, il livello nazionale e anche, per quanto più direttamente quello torinese.
A Torino, negli ultimi anni, la situazione è letteralmente precipitata. Mi limito ad alcuni esempi: le politiche razziste, antipopolari e securitarie della Regione (da ultimo con una legge che esclude, di fatto, i migranti dall’edilizia popolari, con disposizioni chiaramente anticostituzionali, inserite all’evidenza per ragioni di discriminazione da un lato e di ricerca di consenso dall’altro); l’inedito attivismo del Fuan in Università, autorizzato, di fatto dalle autorità accademiche e protetto dalle forze di polizia che non hanno esitato a entrare nel Campus e a manganellare studentesse, studenti e anche docenti (tra cui Alessndra); la presenza capillare in diversi quartieri cittadini (a cominciare da Barriera di Milano) di organizzazioni neofasciste che hanno prodotto un vero e proprio controllo militare del territorio; la evidente saldatura che si sta realizzando tra la destra estrema e gran parte dei sindacati di polizia, emersa da ultimo nella vicenda della cosiddetta legalizzazione di Askatasuna (nella quale l’approvazione di una legge ad hoc della regione si è affiancata al protagonismo eversivo dei sindacati di polizia ad eccezione del solo Silp).
A questo clima abbiamo reagito, come Coordinamento antifascista, con una pluralità di iniziative: mobilitazione per 25 aprile e 1° maggio; solidarietà con studenti e studentesse e presenza nelle assemblee universitarie; organizzazione di due momenti di incontro molto partecipati alla fabbrica delle E sulla guerra in Palestina e su “Un’altra idea di ordine pubblico”; attivazione di un osservatorio sul fascismo a Torino con relativo sito che è prossimo a partire; realizzazione di un corso per insegnanti su “Il fascismo dopo il fascismo”; predisposizione e diffusione del libro “All’armi son fascisti!” di Gastone Cottino (di cui sono già programmate oltre 10 presentazioni).
A un anno di distanza dalla nostra costituzione e in prossimità del 25 aprile e del 1° maggio abbiamo ritenuto necessario convocare un’assemblea cittadina sui seguenti punti: 25 aprile e 1° maggio: modalità di partecipazione e iniziative nei confronti degli organizzatori e dei sindacati; iniziative di presentazione e diffusione del libro di Gastone; valutazioni in punto adesione a La via maestra, per cui è prevista l’assemblea costitutiva torinese sabato 6 aprile; iniziative dopo il 1° maggio in difesa della Costituzione e contro l’autonomia differenziata e le modifiche costituzionali finalizzate alla introduzione del premierato.
È l’introduzione di Livio Pepino all’assemblea del Coordinamento del 26 marzo 2024


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